Con il disco d’esordio “Lorenzo Federici” (Libellula), uscito a dicembre 2014, il progetto Eugenio In Via Di Gioia ha fatto parlare moltissimo di sé. Nel 2015 arrivano allo showcase live di Music Club su Radio 1 a marzo 2015 e partecipano alla compilation “Sotto il Cielo di Fred” in compagnia di Brunori Sas, Dente, Perturbazione e molti altri. A luglio 2015 inoltre tre loro canzoni si collocano al primo, secondo e terzo posto come brani più ascoltati a Torino su Spotify ed esce il loro nuovo video “Non Ancora”, selezionato da MTV New Generation e presentato in anteprima su Vevo. Un disco ed un live che partono dalla strada (gli Eugenio In Via Di Gioia nascono come buskers) e dalla tradizione delle balere, dello swing e del folk italiano fino ad arrivare al nu-folk inglese di questi ultimi anni, reinterpretando la tradizione e rivestendola di un realismo che legge con amara allegria i nostri tempi. Nell’Aprile del 2017 la band pubblica il suo secondo album “Tutti su per terra” per LibellulaMusic. A febbraio del 2018 gli “Eugenio in Via Gioia” vengono selezionati come band residente dal programma religioso “Beati voi – Tutti Santi” in onda in prima serata su Tv2000. Il primo aprile 2018 esce Selezione naturale feat. Willie Peyote con l’ironico video di Giorgio Blanco.
Eugenio in via di gioia è un progetto composto da brani dal sound folk e dai concetti socialmente pungenti, amari ma veri.
Di chi è lo sguardo critico e la mano onesta che si nasconde dietro i testi della band?
I testi sono di Eugenio, il cantante, poi tutti insieme mettiamo mano sugli arrangiamenti per valorizzarne tutti i passaggi e cercare di renderli il più efficaci possibile. Il che non è sempre facilissimo visto che spesso sono testi lunghissimi con strutture poco standardizzabili.
È evidente il giudizio avverso che avete nei confronti della società di oggi che è ormai fagocitata da una tecnologia che distacca l’individuo dal mondo esterno. Uno dei vostri brani “Giovani Illuminati” del ultimo album, “Tutti su per terra”, lo esprime chiaramente: “[…] non sento più freddo, non provo dolore sono o non sono un giovane illuminato a risparmio energetico da una realtà che non conosco più; cinque sensi, quattro cinque 3D 2.0 un solo modo per non spegnermi”. Qual è secondo voi la linea di margine che separa l’utilità dalla dipendenza della tecnologia?
Esiste un limite entro il quale la tecnologia ci rende più liberi. Dal punto di vista lavorativo ci permette di risparmiare molto tempo nell’organizzazione e nella gestione degli impegni. Da un punto di vista relazionale la tecnologia accorcia le grandi distanze, rendendo possibili amicizie e amori altrimenti impossibili. E poi nel tempo libero la tecnologia ci permette di viaggiare e di conoscere in pochissimo tempo qualsiasi cosa possa interessarci. Al di fuori di questo limite però la tecnologia ci rende schiavi. Nel momento stesso in cui una società non può più farne a meno i suoi cittadini sono costretti ad adeguarsi e allora ci accorgiamo che non abbiamo guadagnato tempo, lo abbiamo solo infittito di più. E dove abbiamo più tempo diventiamo multitasking e non riusciamo più a concentrarci, dove ci abituiamo a comunicare a distanza non riusciamo più ad avere relazioni a corto raggio e dove abbiamo milioni di strade percorribili non ne intraprendiamo mai nessuna fino in fondo rimanendo superficiali e senza memoria.
Un altro brano intriso di velato sarcasmo è “All You Can Eat”, del disco “Ep Urrà”, che mette in evidenza quanto ormai sia presente un tracotante benessere che porta la gente a non aver “bisogno del bisogno” e che trova l’apoteosi nel ritornello del vostro brano che canta: “[…] Padrone dacci fame/ abbiamo troppo da mangiare/ Padrone dacci un po’ di fame/
La sazietà non ci basta più/ la sazietà non ci basta proprio più/
Sentiamo mancanza di bisogno da soddisfare”. Secondo voi la nostra generazione di cos’è troppo sazia? Di che cosa dovremmo avere più “fame”?
La nostra generazione è sazia di bisogni primari. E quindi va a cercarsi tanti altri secondari bisogni e problemi ai quali dare secondarie soluzioni e risposte. Con l’aggravante che la nostra generazione è cresciuta con l’idea che avrebbe potuto cambiare il mondo, e lei vorrebbe farlo. Però le manca un riconoscimento da parte del mondo degli adulti, le manca l’autorealizzazione. Inoltre dove vi è sazietà di curiosità giunge il cinismo, supportato dall’esubero di informazioni recepite e immagazzinate, che ad un certo punto manda in saturazione il cervello e sopraggiunge un senso di impotenza. Insomma non siamo catastrofici, ma pensiamo si debba ripartire cercando di darsi la giusta dimensione, ritrovare la propria misura nel mondo. Dovremmo imparare ad agire, non rendendo grandi i nostri piccoli drammi, ma frammentando i problemi globali in mosaici di quotidiana partecipazione.
La vostra musica nasce e parte dalla strada e sicuramente il contatto con il pubblico è stato essenziale ed utile per far veicolare la vostra musica. Raccontateci un episodio a cui siete molto affezionati.
Il bello della musica è che assume un ruolo diverso a seconda del contenitore in cui la si mette. Noi cerchiamo di suonare nei luoghi più disparati di fronte al pubblico più eterogeneo. Nel 2016 eravamo a Bruxelles a suonare per il nostro primo giro di date fuori dall’Italia, c’era appena stato un brutto attentato e in città si respirava aria pesante, tra polizia e esercito agli angoli di molte strade principali. Così senza pensarci troppo, dopo un paio di fermate dentro la metropolitana abbiamo iniziato a cantare Stand by me per portare un po’ di spensieratezza. Quando abbiamo finito, lungo tutto il vagone c’è stato un grosso applauso e dei piacevoli sorrisi di rilassatezza.
Sabato 28 Luglio
Ostello del Sole
San Cataldo di Lecce
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